Beatrice Gaggiotti simbolo bussola

BEATRICE GAGGIOTTI

artista • docente • divulgatore

  • Home
  • Chi sono
  • Attività
  • Missione
  • Progetti
  • Contatti
  • AUTOMATONOFOBIA: LA PAURA DELLE STATUE

    AUTOMATONOFOBIA: LA PAURA DELLE STATUE

    L’automatonofobia può sembrare una parola che incute timore, e in effetti… lo è.
    Si tratta infatti di una fobia specifica, una paura che riguarda qualcosa che molti considerano artistico: le statue.

    Personalmente, posso allora dire di soffrire di automatonofobia.

    Qui, però, è importante sottolineare una cosa: l’automatonofobia, in effetti, non si limita alla paura delle statue. Si tratta di un concetto più complesso. E anche se spesso viene definita come “la paura delle statue”, l’automatonofobia abbraccia una gamma più ampia di paure.

    Ma cosa significa esattamente avere paura delle statue? E come si collega all’automatonofobia? Scopriamolo insieme nell’approfondimento seguente.

    Fobia: Una Paura Profonda e Persistente.

    La parola “fobia” deriva dal nome della divinità greca Phobos (Φόβος), che rappresenta lo Spavento, mentre suo fratello è Deimos (Δεῖμος), il Terrore.

    Secondo la Treccani la fobia è una paura morbosa, un’angoscia eccessiva e ingiustificata, provata in situazioni specifiche o in presenza di oggetti specifici.

    La definizione della Treccani, che include la definizione tratta dal Dizionario di Medicina (2010), infatti dice:
    Fobia: «Paura morbosa, angoscia eccessiva e ingiustificata, provata dal soggetto in situazioni specifiche o in presenza di oggetti specifici, che normalmente non la giustificano razionalmente. Pur rimanendo il più delle volte cosciente della sproporzione della sua reazione emotiva rispetto alla sua causa e pur criticandola, il paziente fobico si trova nell’impossibilità di dominarla ed è tipicamente costretto ad adottare comportamenti e strategie, anche complessi, al fine di evitare il contatto con la situazione o con l’oggetto temuti (condotte di evitamento).»

    Il suffisso -fobia, infatti, è utilizzato per indicare paure specifiche: per esempio l’aracnofobia è la paura dei ragni, l’erpetofobia è la paura dei rettili, la claustrofobia è la paura degli spazi chiusi, e così via.

    Ognuno di noi ha almeno una fobia, e non fanno eccezione nemmeno i personaggi famosi. Ad esempio, sappiamo che Caligola aveva paura dei fulmini, l’imperatore Augusto aveva paura del buio, Carlo Magno aveva paura della solitudine, Alessandro Magno aveva paura dei ragni, Alessandro Manzoni aveva paura degli spazi aperti troppo grandi, Ronald Reagan aveva paura del numero 666, e Pablo Picasso aveva paura di diventare povero.

    Ad oggi il suffisso -fobia viene utilizzato anche per definire alcune avversioni generiche che sono in realtà pregiudizi piuttosto che vere paure, come nel caso della xenofobia o dell’omofobia. Questi pregiudizi, anche se definiti dal suffisso “-fobia”, non devono essere confusi con le fobie clinicamente definite.

    La Storia delle Fobie.

    La prima testimonianza scritta sulle fobie risale al V secolo a.C., quando Ippocrate, il padre della medicina, descrisse accuratamente sia il delirio che le fobie. Tra queste, descrisse un caso di fobia del crepuscolo e un altro di fobia in presenza di ponti, precipizi e fossati.

    Durante il Medio Evo, le fobie divennero oggetto di interesse per la chiesa, poiché venivano considerate come espressioni della possessione demoniaca.

    La concezione medioevale rimase nella cultura occidentale fino a quando Cartesio, nella sua opera Le passioni dell’anima, sottolineò come pensiero e comportamento fossero collegati. Secondo lui, le esperienze precoci dell’infanzia influenzerebbero il comportamento per tutta la vita.

    Dal punto di vista medico, le fobie vennero riconosciute solo tra il XIX e il XX secolo. In questo periodo, alcuni medici iniziarono a occuparsi di episodi di fobie, spesso raggruppandoli con attacchi di panico, follia, manie, ossessioni, disturbo ossessivo compulsivo, ansia, perversioni varie, ed epilessia.

    Fu Sigmund Freud il primo a occuparsi seriamente delle fobie e a descrivere le “nevrosi fobiche”. Freud parlò per la prima volta delle fobie nel 1894, tracciando una distinzione tra le normali paure (anche se accentuate) e le fobie intese come formazioni sintomatologiche.

    Per Freud, le fobie erano un sintomo nevrotico che lui chiamava “isteria d’angoscia”, il cui significato era inconscio e riguardava in particolare desideri sessuali e aggressivi. Questi desideri sessuali e aggressivi erano spesso inaccettabili alla coscienza del soggetto che li provava.

    Ma come fare per liberarsene? Freud individuò il meccanismo della proiezione. Attraverso la proiezione, il soggetto riesce a “proiettare” parte della carica psichica legata a tali pulsioni su “oggetti” esterni. Così facendo, ciò che viene temuto dal soggetto non è più interno, ma esterno: adesso è un oggetto a essere temuto.

    Ma questa, naturalmente, è la visione di Freud e va quindi contestualizzata.

    Infine, le fobie ottennero un’etichetta diagnostica definita e autonoma solo nel 1947 con l’International Classification of Diseases (ICD) e nel 1952 con la classificazione dell’American Psychiatric Association (Diagnostic and Statistical Manual, DSM).

    E fu solo tra il 1960 e il 1970 che si avviarono ricerche serie e specifiche sul tema delle fobie, tra cui l’automatonofobia, la paura delle statue, e sul loro eventuale trattamento.

    Automatonofobia.

    In poche parole, perciò, una fobia è un timore irrazionale e incontrollabile per un oggetto o per una situazione, sentito come minaccioso, anche in assenza di un reale pericolo. Parliamo di “fobia” quando proviamo una paura molto forte, spesso non ben definibile e descrivibile, per qualcosa che sappiamo non poter arrecare un danno vero e proprio.

    Ed ecco qui l’automatonofobia.

    L’etimologia della parola non è veramente conosciuta, ma scomponendo la parola si pensa potrebbe derivare da:

    • automaton, ovvero “automatico” ed “immediato”, parola di origine greca. Potrebbe anche derivare da automa, forma troncata del greco αὐτόματος (autòmatòs) che significa “che si muove da sé” o anche “semovente”. E questa radice potrebbe anche ricordare l’automa, che spesso nell’immaginario comune ha forma umana o umanoide, o almeno di animale;
    • tono, sempre dal greco, che significa “tensione” o “accento”;
    • e fobia.

    Il termine “automatonofobia” indica la paura per tutto ciò che appare umano ma non lo è, come le bambole, i burattini, gli automi, le statue, gli spaventapasseri, i manichini, eccetera. Anche se, c’è da specificarlo, la paura delle bambole in senso stretto si chiama pediofobia.

    L’automatonofobia, quindi, non è una fobia ancora del tutto definita. Alcuni ritengono che si possa parlare di automatonofobia solo quando l’oggetto che riproduce la forma umana e che scatena questa fobia sia di dimensioni pari o superiori a quelle umane; altri invece ritengono che valga sempre.

    Tuttavia, si è tutti concordi nel dire che si tratta comunque della paura degli oggetti che riproducono la forma umana. E solo la forma umana.

    Ma chi ha paura delle statue, come me, ha paura di tutto ciò che ha forma umana?
    In realtà, no.
    E chi ha paura delle statue, come me, ha paura solo di quelle di forma umana?

    In realtà, no.

    Chi soffre della paura delle statue come ne soffro io non ha paura delle statue che hanno solo forma umana, ma di tutte le statue, anche quelle che riproducono animali. E, a volte, anche di quelle che rappresentano oggetti.

    E, in realtà, spesso, la paura delle statue si accompagna al concetto: più sono grandi, peggio è. Per questa ragione alcuni accorpano l’automatonofobia alla megalofobia. La paura per le cose grandi o gigantesche infatti prende il nome di megalofobia.

    Per quanto riguarda, invece, la fobia per le statue, essa generalmente si manifesta così: le statue mi danno inquietudine, e l’inquietudine sale fino a diventare paura più la statua è grande. E, naturalmente, ho sempre più paura quanto più ci vado vicino. E la statua è spaventosa tanto più ritrae esseri viventi come animali ed esseri umani.

    Per quanto mi riguarda io non ho paura delle bambole (a meno che non siano troppo grandi), e anche manichini o spaventapasseri non mi creano problemi. Sono proprio le statue a inquietarmi.

    Eppure, nonostante la paura, per assurdo, ho verso le statue una notevole attrazione e fascinazione. Ne sono attratta ma poi non riesco ad avvicinarmi perché mi spaventano. E questo è un continuo gioco di attrazione e repulsione.

    E, naturalmente, le dimensioni contano. Una statuetta di piccole dimensioni difficilmente mi può provocare disagio mentre quando le statue cominciano a diventare piuttosto grandi – grandi come un bambino o grandi come un uomo – o, peggio ancora, enormi o colossali, mi fanno davvero paura e non riesco ad avvicinarmi né a toccarle.

    E la cosa che trovo strana e interessante al contempo è che di un essere vivente mi fa paura la statua, ma non l’essere vivente stesso. Voglio dire: ho paura di una statua a forma di cavallo grande come un cavallo, ma non ho paura di un cavallo vero. Eppure un cavallo vero potrebbe spaventarsi o arrabbiarsi, potrebbe reagire in modo imprevedibile, potrebbe addirittura uccidermi con un calcio. La statua no. Eppure del cavallo vero non ho paura, della statua sì.

    Ma cosa mi fa paura nelle statue?

    In realtà, non so esattamente cosa mi faccia paura nelle statue. Non è che temo che cadano o che non siano sicure… semplicemente mi fanno paura. Sento una minaccia, ma non riesco a definire cosa, esattamente, sia il pericolo che percepisco. Forse, in effetti, mi danno la sensazione che, prima o poi, potrebbero muoversi.

    Prima o poi… le statue prenderanno vita?

    E… avendo io l’automatonofobia ma nel contempo una incredibile fascinazione per queste opere, davvero non potevo esimermi dal dedicare un’intera playlist sul mio canale dedicata alle… statue più grandi del mondo!

    Clicca su questo pulsante per andare alla playlist dedicata alle statue più grandi del mondo sul mio Canale YouTube:

    Playlist “Statue più alte del mondo”

    Oppure guarda la playlist qui:

    ISCRIVITI AL MIO CANALE YOUTUBE

    CLICCA QUI PER ANDARE AL MIO CANALE

    •

    TORNA AL BLOG

    Beatrice

    Luglio 27, 2023
    Generale
    italiano
  • COS’È L’ARTE?

    COS’È L’ARTE?

    Il mio lavoro consiste nell’occuparmi di Arte: pittura, musica, architettura, scultura, letteratura, poesia e prosa, e tutta la storia, la teoria, e la tecnica, che afferiscono a queste discipline.

    Si suppone, quindi, che io sappia perfettamente cos’è l’arte.

    E invece… non è proprio così!

    E il motivo è che nessuno, finora, ha mai saputo definire in modo univoco e concluso cos’è l’arte.

    La definizione: che cos’è l’arte?

    Qualche anno fa, nel suo libro L’arte come idea e come esperienza, il filosofo e critico d’arte Dino Formaggio scriveva: «L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte».

    Sembra una boutade, e l’autore stesso lo ammette, eppure dice anche che questa – secondo lui – è la definizione più sensata di cos’è l’arte. È interessante, infatti, sapere che, ad oggi, non esiste ancora una definizione di arte. Non condivisa, almeno. Insomma, ancora oggi, dopo millenni di storia, non sappiamo, ancora, che cos’è l’arte.

    cos'è l'arte

    Dino Formaggio, filosofo e critico d’arte italiano, nella seconda fotografia davanti a una sua scultura.

    cos'è l'arte

    Il libro di Dino Formaggio L’arte come idea e come esperienza, pubblicato per la prima volta nel 1990.

    Infatti… Cos’è l’arte?
    Cosa la distingue dall’artigianato?
    E cosa distingue l’arte da ciò che non è arte?
    Oppure, incredibilmente, qualunque – o quasi qualunque – attività umana potrebbe essere definita arte?

    Arte e Artigianato.

    La differenza tra arte e artigianato esiste, ma si può prestare – a mio parere – ad essere contestata.

    Si dice, infatti, che l’artigianato sia la creazione di prodotti pensati per essere utilizzati mentre l’arte crea prodotti solo a fini decorativi; si dice che questi prodotti d’artigianato vengano creati da tecnici specializzati (gli artigiani, per l’appunto); e si dice che questi prodotti vengano creati solitamente utilizzando piccoli attrezzi.

    E tutto ciò differenzia l’artigiano dall’arte, ovvero differenzia cos’è l’artigianato da cos’è l’arte.

    Ma è proprio vero?

    È davvero tutto qui?

    Si può dire cos’è l’arte basandosi su questi criteri?

    Proviamo a sfidarci ad analizzare uno ad uno questi punti. E partiamo dall’ultimo andando a ritroso.

    Cos'è l'arte artista

    Luca Cambiaso, Autoritratto del pittore in atto di dipingere il ritratto del padre (1570 ca.)

    Cos'è l'arte artigiano

    Wilhelm Kiesewetter, Der kleine Handwerker (before 1865)

    Cos’è l’arte: L’artigianato è tale – e diverso dall’arte – perché l’artigiano utilizza piccoli attrezzi.

    Questo punto è, a mio parere, il più debole dei tre e forse il più facile da contestare.

    L’artigiano usa piccoli attrezzi e l’artista no?

    Prendiamo ad esempio un pittore: il pittore utilizza dei pennelli per produrre le sue opere; secondo me, come attrezzi, sono sufficientemente piccoli.

    Quindi, stanti attrezzi piccoli, il pittore è forse un artigiano? E quindi, per esempio, la Gioconda è un pezzo di artigianato?

    Naturalmente voglio subito chiarire: non sto assolutamente dicendo che l’artigianato sia inferiore all’arte!

    Sto semplicemente analizzando e ragionando sulle definizioni e su cosa differenzia cos’è l’arte da cos’è l’artigianato.

    Quindi, secondo questa parte di definizione, siccome il pittore utilizza attrezzi piccoli per creare le sue opere, potremmo definire la pittura non un’arte ma un prodotto di artigianato?

    E, se ci pensiamo, anche uno scultore utilizza utensili non troppo grandi; anzi, alcuni – come martelli e scalpelli – sono gli stessi che usa un artigiano.

    Perché quindi una sedia in legno intagliata con martello e scalpello è artigianato, mentre la figura di una donna in legno intagliata con martello e scalpello è arte?

    Ma possiamo spingerci ancora oltre: musicisti e ballerini spesso non utilizzano attrezzi particolari per creare le loro opere. A meno che vogliamo considerare attrezzi gli strumenti musicali oppure il corpo stesso di un ballerino.

    E gli scrittori e i poeti? Anche loro non usano attrezzi se non carta e penna.

    Quindi… queste citate, secondo la regola degli attrezzi, sono arti oppure no?

    Secondo me, dopo aver ragionato su questo punto, mi sentirei di dire che la dimensione degli attrezzi o addirittura la presenza di attrezzi veri e propri non possa essere un criterio di discriminazione tra arte e artigianato, e quindi non ci aiuta a capire cos’è l’arte.

    Cos’è l’arte: L’artigianato è tale – e diverso dall’arte – perché i prodotti vengono fatti da tecnici specializzati.

    Per l’artigianato, i tecnici specializzati sono gli artigiani: questo è naturalmente molto intuitivo.

    Eppure qui c’è qualcosa di davvero interessante di cui parlare, poiché anche l’arte viene prodotta da tecnici specializzati: gli artisti.

    Un artista, infatti, non è altro che una persona che ha studiato un’arte specifica (a volte anche più di una), e che è un professionista in quella arte. E che utilizza l’esercizio della sua arte per guadagnare.

    Chi, infatti, non utilizza la sua arte per ricavarne guadagno e sostentamento, ovvero non utilizza la sua arte come lavoro, è detto dilettante. Dilettante non è un termine dispregiativo. Il dilettante non è colui che non sa fare un’arte o che la fa male. Un dilettante è semplicemente qualcuno che pratica un’arte per diletto, come dice la parola stessa. Ma un dilettante può anche avere capacità notevoli ed essere a livelli veramente alti!

    Tornando all’artista, quindi, egli altro non è che un professionista delle arti. E un professionista, nel suo campo, è anche un tecnico. Un ballerino classico, per esempio, è un professionista della sua arte; un pianista lo è; un violinista lo è; un pittore lo è; uno scultore lo è. E così via.

    Michelangelo era un professionista specializzato, soprattutto nella scultura e poi anche nella pittura. Il Parmigianino era un professionista specializzato nella pittura. Bach era un professionista specializzato nella composizione della musica. E così via.

    Anche se può sembrare strano, parliamo a tutti gli effetti di professionisti e tecnici specializzati.

    Come facciamo quindi a distinguere un artigiano da un artista se entrambi sono professionisti e tecnici specializzati in una determinata area? Forse dicendo che l’artista esprime se stesso e le proprie idee e l’artigiano no? Sinceramente mi sentirei di dissentire. La maggior parte degli artigiani (per esempio i maestri del legno, i maestri del ferro battuto, e così via) sono in grado di realizzare progetti di una bellezza e una ricercatezza impressionanti, e sono senz’altro in grado di produrre oggetti che esprimono anche una loro idea e un loro sentire, e che possono addirittura portare con sé un messaggio.

    Quindi, di nuovo, cosa ci fa distinguere cos’è l’arte da cos’è l’artigianato?

    Cos’è l’arte: L’artigianato è tale – e diverso dall’arte – perché l’artigiano crea oggetti pensati per essere anche utilizzati, e che non siano solo decorativi.

    E questo, devo dire, è il mio punto preferito. Questa definizione, che è quella più forte e più gettonata per distinguere l’arte dall’artigianato, è anche quella che, secondo me, si presta a pensieri più profondi.

    Secondo questa definizione l’arte produce oggetti puramente estetici e/o decorativi, ma non di utilizzo. L’artigianato, invece, produce oggetti di utilizzo.

    Ma è vero che l’arte non produce oggetti che servono specificatamente per essere usati?

    Lasciamo da una parte il discorso, forse più filosofico, per cui anche un oggetto decorativo ha una funzione, cioè quella di fare da decorazione e di essere ammirato, e quindi anche l’oggetto decorativo è di fatto creato per avere una funzione. Prendiamo pure la parola nel modo più normale: un oggetto ha una funzione o un utilizzo quando non è solo decorativo.

    Poniamoci una domanda, allora: Visto che “Zadok the Priest” (HWV 258) di Georg Friedrich Händel è un inno che è stato composto appositamente per essere usato (ed è stato usato) durante l’incoronazione di Giorgio II, è arte o è artigianato?

    E il Ritratto di Anna di Clèves, dipinto da Hans Holbein il Giovane, eseguito con il preciso scopo di mostrare a Enrico VIII le fattezze della sua futura moglie, è arte o è artigianato?

    E, domanda delle domande, le opere di architettura sono arte o artigianato? Sì, perché le opere architettoniche devono svolgere una o spesso più funzioni specifiche, e sono progettate esplicitamente per assolvere a una o più funzioni, e addirittura per risolvere uno o più problemi: quindi sono arte o sono artigianato? O non sono nessuno dei due?

    Ma in realtà potremmo continuare con gli esempi. Potremmo continuare perché, in effetti, l’arte è per lo più pensata e creata per svolgere una funzione, e non solo come puro atto decorativo. Poi certo, ci sono anche oggetti d’arte di pura decorazione, ma non tutta l’arte è solo decorazione.

    E quindi, tutte le innumerevoli opere d’arte che sono state create per un fine preciso e che sono state usate per quel fine – e che, alcune, ancora vengono usate per quel fine – sono da considerarsi artigianato?

    In realtà, si nota come la differenza tra arte e artigianato non sia affatto chiara. E dire che arte e artigianato vengano distinti dall’uso di certi attrezzi, dalla professionalità di chi crea l’opera, o dal fatto che il prodotto sia o no decorativo, o che porti oppure no un messaggio personale, evidentemente non è sufficiente.

    La verità è che, a oggi, non sappiamo cosa distingua davvero l’arte dall’artigianato. Così come non sappiamo cosa distingua l’arte da qualcosa che non lo è.

    Arte e non-Arte.

    Infatti, cos’è l’arte e cosa non lo è? Cosa ci fa dire che qualcosa è arte e qualcosa, invece, non è arte? E nemmeno artigianato?

    L’Enciclopedia Treccani dà una definizione molto interessante di arte: «s. f. [lat. ars artis]. – 1. a. In senso lato, capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, e quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati: l’a. del fabbro, del medico, del musicista, ecc.».

    La definizione intera è molto più lunga e più completa di così, ma questa prima parte ci dà comunque delle informazioni davvero interessanti e importanti.

    Possiamo notare, infatti, come la Treccani definisca l’arte un «agire e produrre basato su un complesso di regole […] esperienze […] e tecniche», il che si distacca molto dall’idea che spesso abbiamo dell’arte come di qualcosa di caotico e privo di regole.

    E la Treccani definisce l’arte anche come «un’attività umana in vista di determinati risultati», definizione che, anche in questo caso, si discosta dall’idea che spesso abbiamo di arte come di qualcosa di fine a se stesso. E, anche, si discosta dall’idea di arte come di qualcosa che produca oggetti puramente e solamente decorativi.

    Personalmente sono pienamente d’accordo con l’Enciclopedia Treccani.

    L’arte è qualcosa di legato intrinsecamente a tantissime conoscenze di stampo multidisciplinare e a tantissime abilità che vengono definite “tecniche”, e non è quindi qualcosa di caotico e privo di regole – o, ancora peggio, di privo di senso.

    E l’arte è anche qualcosa che non è, o almeno non necessariamente è, fine a se stesso. È senz’altro vero che si può produrre arte solamente per il puro gusto del progetto in sé, ed è altrettanto vero che non c’è alcun obbligo di condividere la propria produzione da artista; ma è altrettanto vero che l’arte, il più delle volte, è pensata per essere fruita, e per essere condivisa con qualcuno: in quest’ottica, l’arte è comunicazione, e quindi si prefigge determinati risultati e obiettivi.

    Quindi, cos’è l’arte e cosa non lo è?

    In realtà, ad oggi, non lo sappiamo.

    Ad oggi, non sappiamo definire i confini dell’arte.
    Possiamo infatti divertirci a fare degli esempi per metterci in difficoltà.

    Per esempio, la cucina è arte? Se sì, perché? Se no, perché? Anticamente parlavano di ars coquinaria. E anche oggi parliamo di “arte della cucina”.

    E la medicina, è arte oppure non lo è? Se sì, perché? E se no, perché? Il medico agisce, in effetti, secondo «un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche» e anche «in vista di determinati risultati», così come dice la Treccani. È arte quindi, la medicina? È vero, il medico non agisce direttamente per creare qualcosa che sia comunicativo, ma il medico fa ampio uso della comunicazione. Quindi, la medicina è un’arte? Anticamente, e ancora oggi, parliamo di ars medica.

    Allora qui nasce una domanda: possiamo dire, a questo punto, che “tutto è arte”?

    Possiamo forse dire che qualunque cosa produca l’uomo (inteso come essere umano e umanità) è arte?

    Forse è possibile che la categoria ‘arte’ comprenda molte più discipline di quelle che pensiamo?

    Ed è possibile che abbia confini molto più ampi di quello che crediamo?

    ISCRIVITI AL MIO CANALE YOUTUBE

    CLICCA QUI PER ANDARE AL MIO CANALE

    •

    TORNA AL BLOG

    Beatrice

    Giugno 27, 2023
    Generale
    italiano
  • BEATRICE’S THEME

    BEATRICE’S THEME

    Nel 2020 ho deciso di dare vita al mio canale YouTube, che era rimasto inattivo per molti anni. Non avevo mai avuto il coraggio di farlo prima, né avevo le idee chiare su come procedere. È stato allora che ho deciso di collaborare con il compositore Siesar Nick per creare delle musiche per il mio canale YouTube, tra cui “Beatrice’s Theme”.

    L’inizio.

    Ho discusso con Siesar della mia visione per il canale e del mio desiderio di dedicarlo all’arte e alla cultura – i miei campi di lavoro.

    Il nome del canale all’epoca non c’era, o meglio, il canale portava semplicemente il mio nome e cognome.
    Siesar mi ha chiesto come avrei voluto strutturare il canale, come avrei voluto chiamarlo, e quali sarebbero stati i suoi contenuti: se sui contenuti avevo ormai le idee chiare, sul resto molto meno.
    Siesar ha deciso allora di creare una musica.

    E Siesar ha deciso di creare una musica che rappresentasse me più che il canale. Questa musica avrebbe potuto essere utilizzata come colonna sonora generale, ovunque, nel mio canale. E, conoscendomi già, Siesar ha cercato di creare un tema musicale che mi rappresentasse – secondo la sua idea progettuale e la sua creatività.

    L’idea.

    Siesar ha cercato quindi di pensare a un tema, a una musica, che mi rappresentasse – naturalmente secondo lui, secondo la sua idea progettuale, e secondo la sua creatività.
    Ha basato la composizione su quello che pensava di me, perché nella sua mente questa musica doveva raccontare la mia storia. Ecco perché ha dato a questo brano il nome “Historia, Beatrice’s Theme”. È stato Siesar a scegliere questo titolo, non io.

    Siesar, oltre a riflettere sulle sue impressioni su di me, ha dedicato del tempo per discutere con me e capire quali fossero le sensazioni, gli ambienti, i colori, gli animali, e i pensieri che mi erano più vicini. Queste conversazioni hanno contribuito a formare lo scheletro della composizione.

    E, dopo aver raccolto quante più informazioni possibili, Siesar ha iniziato a lavorare sulla composizione, cercando di capire quali armonie potessero creare quelle sensazioni. Da qui, il brano ha iniziato a prendere forma.

    La creazione.

    Inizialmente la composizione era un semplice loop che derivava dall’esperienza di Siesar nella scrittura di musiche meditative e rilassanti. Tuttavia, questa prima idea non lo soddisfaceva completamente.

    Mentre valutava l’armonia e gli strumenti da utilizzare, Siesar ha avuto l’idea di inserire una voce femminile sotto forma di vocalizzo lirico. Questa idea è nata dal fatto che io, oltre a suonare il pianoforte, canto lirico. Purtroppo, a causa della pandemia, il progetto di registrazione non è mai stato realizzato.

    Per non ritardare ulteriormente la realizzazione del progetto, quindi, Siesar ha deciso di utilizzare una voce campionata, cercando di scegliere una voce il più possibile simile alla mia.

    La composizione è continuata. Siesar ha sviluppato ulteriormente la sensazione creata nella prima parte del brano, rendendolo più strutturato e con una melodia più forte. Alla fine, Beatrice’s Theme è diventato un brano completo, non solo un sottofondo per un eventuale video introduttivo del mio canale.

    Vedendo che la musica rappresentava bene ciò che sono e le mie sensazioni, e che evocava un ambiente naturale, i movimenti fluidi e tranquilli della natura, e una luce serena, Siesar ha deciso di scegliere le immagini per il videoclip che avrebbe accompagnato il brano. Ha scelto immagini che rappresentassero questi ambienti, questa luce, e queste sensazioni corporee – acqua, aria, uccelli, e vegetazione.

    Da qui, dice Siesar, è nata la sua idea per la creazione di nuovi brani in stile meditativo e rilassante. È stato proprio “Beatrice’s Theme” a dargli l’idea di come realizzare questi tipi di brani. Stava cercando da tempo di ricreare questo tipo di musica in un modo diverso da quello tradizionale – con suoni continui e ripetitivi – cercando invece qualcosa con una linea armonica e melodica più strutturata.

    Clicca qui per conoscere Siesar e ascoltare le sue musiche

    Il brano.

    Il brano inizia con un rintocco di suoni cristallini, che mi danno – essendo sinestesica – una sensazione di freschezza e di chiarore argenteo. Si può già percepire, in sottofondo, quel colore continuo che accompagnerà tutto il brano.

    Questi suoni persistono per qualche secondo, poi entra la voce. Una voce piana, un canto disteso, che introduce il tema del brano.

    Dopo l’esposizione del tema, “Beatrice’s Theme” inizia ad aprirsi. Entra una parte ritmica, leggermente percussiva, che inizia a muovere la musica e che continuerà per tutto lo sviluppo del brano. La voce prosegue sulla percussione, esponendo il tema che varia leggermente nel tempo.

    Gradualmente, quasi impercettibilmente, altri strumenti si aggiungono, ampliando il campo sonoro. Non ci si accorge subito del loro ingresso, fino a quando ci si rende conto che il brano si è ingrandito e continua ad espandersi.

    Il tema continua a ripetersi, come nell’idea di un bolero, crescendo sempre più, allargandosi sempre più, sostenuto da un crescendo di strumenti e di colore. E si conclude quasi senza risoluzione, suggerendo che il brano potrebbe continuare all’infinito.

    Certo, come dice il compositore, a un certo punto questa composizione deve terminare. Ma non voleva una conclusione netta che indicasse un inizio e una fine definita. “Beatrice’s Theme” ha un inizio, ma potrebbe non avere mai una fine.

    Il mio nome: perché mi chiamo “Beatrice’s Theme”.

    Questo brano mi rappresenta. Sì, posso affermare con sicurezza che questa musica mi rappresenta. E anche il videoclip.

    Amo profondamente questa musica, anche perché è un vero privilegio avere una musica composta appositamente per sé, per la propria personalità, e per la propria voce. Questo brano è stato pensato per me, per descrivermi, e per essere cantato dalla mia voce. Non abbiamo ancora fatto una registrazione con la mia voce, ma ho intenzione di farlo in futuro.

    Sono orgogliosa di avere questo brano e ogni volta che lo ascolto mi commuove.

    E alla fine – o forse dovrei dire all’inizio – dei miei progetti ho deciso come avrei chiamato la mia identità online: Beatrice’s Theme. Mi sembrava doveroso.

    ISCRIVITI AL MIO CANALE YOUTUBE

    CLICCA QUI PER ANDARE AL MIO CANALE

    •

    TORNA AL BLOG

    Beatrice

    Giugno 21, 2023
    Generale
    italiano

Beatrice Gaggiotti

Artista • Divulgatore • Docente

Link utili

Ars Accademia delle Arti

Alienino

AMS Point

  • Instagram
  • Facebook
  • LinkedIn
  • YouTube

© 2024

Cookie e Privacy Policy

Sito realizzato da: Nick Digital Projects