L’automatonofobia può sembrare una parola che incute timore, e in effetti… lo è.
Si tratta infatti di una fobia specifica, una paura che riguarda qualcosa che molti considerano artistico: le statue.
Personalmente, posso allora dire di soffrire di automatonofobia.
Qui, però, è importante sottolineare una cosa: l’automatonofobia, in effetti, non si limita alla paura delle statue. Si tratta di un concetto più complesso. E anche se spesso viene definita come “la paura delle statue”, l’automatonofobia abbraccia una gamma più ampia di paure.
Ma cosa significa esattamente avere paura delle statue? E come si collega all’automatonofobia? Scopriamolo insieme nell’approfondimento seguente.
Fobia: Una Paura Profonda e Persistente.
La parola “fobia” deriva dal nome della divinità greca Phobos (Φόβος), che rappresenta lo Spavento, mentre suo fratello è Deimos (Δεῖμος), il Terrore.
Secondo la Treccani la fobia è una paura morbosa, un’angoscia eccessiva e ingiustificata, provata in situazioni specifiche o in presenza di oggetti specifici.
La definizione della Treccani, che include la definizione tratta dal Dizionario di Medicina (2010), infatti dice:
Fobia: «Paura morbosa, angoscia eccessiva e ingiustificata, provata dal soggetto in situazioni specifiche o in presenza di oggetti specifici, che normalmente non la giustificano razionalmente. Pur rimanendo il più delle volte cosciente della sproporzione della sua reazione emotiva rispetto alla sua causa e pur criticandola, il paziente fobico si trova nell’impossibilità di dominarla ed è tipicamente costretto ad adottare comportamenti e strategie, anche complessi, al fine di evitare il contatto con la situazione o con l’oggetto temuti (condotte di evitamento).»
Il suffisso -fobia, infatti, è utilizzato per indicare paure specifiche: per esempio l’aracnofobia è la paura dei ragni, l’erpetofobia è la paura dei rettili, la claustrofobia è la paura degli spazi chiusi, e così via.
Ognuno di noi ha almeno una fobia, e non fanno eccezione nemmeno i personaggi famosi. Ad esempio, sappiamo che Caligola aveva paura dei fulmini, l’imperatore Augusto aveva paura del buio, Carlo Magno aveva paura della solitudine, Alessandro Magno aveva paura dei ragni, Alessandro Manzoni aveva paura degli spazi aperti troppo grandi, Ronald Reagan aveva paura del numero 666, e Pablo Picasso aveva paura di diventare povero.
Ad oggi il suffisso -fobia viene utilizzato anche per definire alcune avversioni generiche che sono in realtà pregiudizi piuttosto che vere paure, come nel caso della xenofobia o dell’omofobia. Questi pregiudizi, anche se definiti dal suffisso “-fobia”, non devono essere confusi con le fobie clinicamente definite.
La Storia delle Fobie.
La prima testimonianza scritta sulle fobie risale al V secolo a.C., quando Ippocrate, il padre della medicina, descrisse accuratamente sia il delirio che le fobie. Tra queste, descrisse un caso di fobia del crepuscolo e un altro di fobia in presenza di ponti, precipizi e fossati.
Durante il Medio Evo, le fobie divennero oggetto di interesse per la chiesa, poiché venivano considerate come espressioni della possessione demoniaca.
La concezione medioevale rimase nella cultura occidentale fino a quando Cartesio, nella sua opera Le passioni dell’anima, sottolineò come pensiero e comportamento fossero collegati. Secondo lui, le esperienze precoci dell’infanzia influenzerebbero il comportamento per tutta la vita.
Dal punto di vista medico, le fobie vennero riconosciute solo tra il XIX e il XX secolo. In questo periodo, alcuni medici iniziarono a occuparsi di episodi di fobie, spesso raggruppandoli con attacchi di panico, follia, manie, ossessioni, disturbo ossessivo compulsivo, ansia, perversioni varie, ed epilessia.
Fu Sigmund Freud il primo a occuparsi seriamente delle fobie e a descrivere le “nevrosi fobiche”. Freud parlò per la prima volta delle fobie nel 1894, tracciando una distinzione tra le normali paure (anche se accentuate) e le fobie intese come formazioni sintomatologiche.
Per Freud, le fobie erano un sintomo nevrotico che lui chiamava “isteria d’angoscia”, il cui significato era inconscio e riguardava in particolare desideri sessuali e aggressivi. Questi desideri sessuali e aggressivi erano spesso inaccettabili alla coscienza del soggetto che li provava.
Ma come fare per liberarsene? Freud individuò il meccanismo della proiezione. Attraverso la proiezione, il soggetto riesce a “proiettare” parte della carica psichica legata a tali pulsioni su “oggetti” esterni. Così facendo, ciò che viene temuto dal soggetto non è più interno, ma esterno: adesso è un oggetto a essere temuto.
Ma questa, naturalmente, è la visione di Freud e va quindi contestualizzata.
Infine, le fobie ottennero un’etichetta diagnostica definita e autonoma solo nel 1947 con l’International Classification of Diseases (ICD) e nel 1952 con la classificazione dell’American Psychiatric Association (Diagnostic and Statistical Manual, DSM).
E fu solo tra il 1960 e il 1970 che si avviarono ricerche serie e specifiche sul tema delle fobie, tra cui l’automatonofobia, la paura delle statue, e sul loro eventuale trattamento.
Automatonofobia.
In poche parole, perciò, una fobia è un timore irrazionale e incontrollabile per un oggetto o per una situazione, sentito come minaccioso, anche in assenza di un reale pericolo. Parliamo di “fobia” quando proviamo una paura molto forte, spesso non ben definibile e descrivibile, per qualcosa che sappiamo non poter arrecare un danno vero e proprio.
Ed ecco qui l’automatonofobia.
L’etimologia della parola non è veramente conosciuta, ma scomponendo la parola si pensa potrebbe derivare da:
- automaton, ovvero “automatico” ed “immediato”, parola di origine greca. Potrebbe anche derivare da automa, forma troncata del greco αὐτόματος (autòmatòs) che significa “che si muove da sé” o anche “semovente”. E questa radice potrebbe anche ricordare l’automa, che spesso nell’immaginario comune ha forma umana o umanoide, o almeno di animale;
- tono, sempre dal greco, che significa “tensione” o “accento”;
- e fobia.
Il termine “automatonofobia” indica la paura per tutto ciò che appare umano ma non lo è, come le bambole, i burattini, gli automi, le statue, gli spaventapasseri, i manichini, eccetera. Anche se, c’è da specificarlo, la paura delle bambole in senso stretto si chiama pediofobia.
L’automatonofobia, quindi, non è una fobia ancora del tutto definita. Alcuni ritengono che si possa parlare di automatonofobia solo quando l’oggetto che riproduce la forma umana e che scatena questa fobia sia di dimensioni pari o superiori a quelle umane; altri invece ritengono che valga sempre.
Tuttavia, si è tutti concordi nel dire che si tratta comunque della paura degli oggetti che riproducono la forma umana. E solo la forma umana.
Ma chi ha paura delle statue, come me, ha paura di tutto ciò che ha forma umana?
In realtà, no.
E chi ha paura delle statue, come me, ha paura solo di quelle di forma umana?
In realtà, no.
Chi soffre della paura delle statue come ne soffro io non ha paura delle statue che hanno solo forma umana, ma di tutte le statue, anche quelle che riproducono animali. E, a volte, anche di quelle che rappresentano oggetti.
E, in realtà, spesso, la paura delle statue si accompagna al concetto: più sono grandi, peggio è. Per questa ragione alcuni accorpano l’automatonofobia alla megalofobia. La paura per le cose grandi o gigantesche infatti prende il nome di megalofobia.
Per quanto riguarda, invece, la fobia per le statue, essa generalmente si manifesta così: le statue mi danno inquietudine, e l’inquietudine sale fino a diventare paura più la statua è grande. E, naturalmente, ho sempre più paura quanto più ci vado vicino. E la statua è spaventosa tanto più ritrae esseri viventi come animali ed esseri umani.
Per quanto mi riguarda io non ho paura delle bambole (a meno che non siano troppo grandi), e anche manichini o spaventapasseri non mi creano problemi. Sono proprio le statue a inquietarmi.
Eppure, nonostante la paura, per assurdo, ho verso le statue una notevole attrazione e fascinazione. Ne sono attratta ma poi non riesco ad avvicinarmi perché mi spaventano. E questo è un continuo gioco di attrazione e repulsione.
E, naturalmente, le dimensioni contano. Una statuetta di piccole dimensioni difficilmente mi può provocare disagio mentre quando le statue cominciano a diventare piuttosto grandi – grandi come un bambino o grandi come un uomo – o, peggio ancora, enormi o colossali, mi fanno davvero paura e non riesco ad avvicinarmi né a toccarle.
E la cosa che trovo strana e interessante al contempo è che di un essere vivente mi fa paura la statua, ma non l’essere vivente stesso. Voglio dire: ho paura di una statua a forma di cavallo grande come un cavallo, ma non ho paura di un cavallo vero. Eppure un cavallo vero potrebbe spaventarsi o arrabbiarsi, potrebbe reagire in modo imprevedibile, potrebbe addirittura uccidermi con un calcio. La statua no. Eppure del cavallo vero non ho paura, della statua sì.
Ma cosa mi fa paura nelle statue?
In realtà, non so esattamente cosa mi faccia paura nelle statue. Non è che temo che cadano o che non siano sicure… semplicemente mi fanno paura. Sento una minaccia, ma non riesco a definire cosa, esattamente, sia il pericolo che percepisco. Forse, in effetti, mi danno la sensazione che, prima o poi, potrebbero muoversi.
Prima o poi… le statue prenderanno vita?
E… avendo io l’automatonofobia ma nel contempo una incredibile fascinazione per queste opere, davvero non potevo esimermi dal dedicare un’intera playlist sul mio canale dedicata alle… statue più grandi del mondo!
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